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Lo sport in crisi: era un diritto di tutti, oggi è un privilegio di pochi


Lo sport in crisi: era un diritto di tutti, oggi è un privilegio di pochi
Roberto Carboni di Nuova Cogisport lancia l'allarme: “Le strutture e le società registrano gravi perdite e la cultura sportiva, fondamentale per la salute di tutti, sta arretrando di trent'anni”
Con le palestre, le piscine e gli impianti sportivi chiusi al pubblico fino almeno al prossimo 5 marzo, continua il momento di stallo per lo sport. “Temo che gli impianti riapriranno solo a Pasqua - evidenzia Roberto Carboni, presidente di Nuova Cogisport -. Le uniche attività permesse ad oggi sono quelle agonistiche, ossia una minima parte di quelle programmate, tra l'altro quelle che generano meno introiti per i gestori e comportano costi per le società sportive. Nell'ultimo mese abbiamo ricevuto centinaia di mail e telefonate di cittadini che chiedono di poter venire a nuotare, ma lo sport è diventato un'attività per pochi privilegiati, che comporta più costi che ricavi”.

Può farci un esempio concreto?
“Una piscina come quella di Faenza, che gestiamo con la cooperativa, spende in media 250mila euro all'anno solo di manutenzione. Chiuderemo il 2020 con un passivo di 170mila euro e il 2021, se va bene, sotto della metà. Ci vorranno anni per rientrare in carreggiata, sempre che il settore si riprenda in tempo. Noi stiamo dando fondo a quanto abbiamo raccolto in 27 anni, se arriveremo al punto di non ritorno saremo costretti a restituire l'impianto al Comune a fine 2021”.

Che risposte vi ha dato lo Stato?
“Sono arrivati dei ristori irrisori, poco più di 8.000 euro già conteggiati in bilancio. Le decisioni vengono prese dall'alto in modo standardizzato, come se ogni realtà fosse uguale alle altre. Mi sembra che ci sia una mancanza di visione, di prospettiva, che la politica sia distante dalle esigenze delle aziende e dei cittadini. Non voglio banalizzare: è in corso un'emergenza sanitaria globale, difficilissima da gestire, e tutti i settori hanno problemi. Lo sport però viene da una situazione che già prima era frammentata e poco sostenibile, fatta di piccole e grandi realtà, di pubblico e di privato; il che rende ancora più difficile trovare adesso delle risposte adeguate. Occorre intervenire, oltre che sulle proroghe e ridiscussioni delle convenzioni, sul costo delle utenze, accesso al credito, revisione dei contributi del personale che versano le aziende, e applicare una moratoria fiscale”.

Com'è l'umore tra gli addetti ai lavori?
“Molte realtà non ce la fanno già più. Ho parlato con amici e colleghi di varie regioni italiane, sono tutti in crisi. Chi era in sofferenza già prima ora è in ginocchio. Chi non lo era probabilmente lo sarà entro la fine dell'anno, quando si presenterà il conto dei pagamenti posticipati o dei prestiti da restituire. C'è chi sostiene che dovremmo chiudere già ora precludendo l'attività agonistica così da risparmiare sulle spese e dare un segnale forte. Non so se sia questa la strada, non dimentichiamoci che chi lavora nel mondo dello sport lo fa animato da una grande passione prima che dalla spinta economica. Ma è proprio questa passione che ora vedo scemare, tra gli addetti ai lavori e tra gli sportivi in generale. Il primo lockdown ci ha colto di sorpresa, ma c'era voglia di reagire, entusiasmo. Abbiamo sanificato tutto e speso parecchio per metterci in regola con le disposizioni, e non è servito. Ora siamo provati e sfiduciati. L'impossibilità di fare previsioni e programmazioni ci taglia le gambe”.

La crisi dello sport impatta anche la società…
“Stiamo tornando indietro di 30 anni e più. L'attività fisica è fondamentale per la salute di ogni individuo, per la socialità e la relazionalità, soprattutto per i giovani. Questo purtroppo lo stiamo perdendo. Il rischio è che lo sport strutturato, per rientrare dalle forti perdite, diventi qualcosa di elitario, com'era una volta, aperto solo a chi se lo potrà permettere. Ed è la deriva che dobbiamo scongiurare a tutti i costi, lo sport deve rimanere un diritto di tutti, uno strumento popolare di benessere collettivo”.

È possibile individuare qualche nota positiva?
“La volontà di guardare avanti, sempre e comunque: quella c'è. È vero, siamo in mezzo alla nebbia, ma non possiamo restarcene fermi in attesa che svanisca da sola. Dobbiamo pensare a cosa si può fare, migliorare la fruibilità degli impianti, trovare idee, interlocutori, tenere duro. Dopotutto lo sport ci insegna anche questo, a non mollare fino alla fine”. Marco Guardant

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